La Nostra Storia

Di Alessandro Brezzi.

La vallata del Casentino, situata in un punto nevralgico del sistema difensivo della Linea Gotica, a partire dall’inverno-primavera tra 1943 e 1944, si trova coinvolta in pieno nelle operazioni belliche, anche in virtù della spontanea fioritura di numerose formazioni di ribelli che utilizzano le zone di montagna e di foresta di cui è ricco il territorio.

È dunque per ripulire la zona del Casentino e della provincia di Arezzo dai ribelli che la Wehrmacht, coadiuvata dalle forze collaborazioniste della Repubblica Sociale Italiana, effettua in questi territori numerose stragi e rastrellamenti, come vedremo più avanti, con l’intento di reprimere il movimento partigiano e terrorizzare le popolazioni civili con esso solidali che, evidentemente, avevano mantenuto un robusto fondo di antifascismo.

I «quarantacinque giorni» successivi alla caduta del fascismo erano stati vissuti in Casentino e nella provincia di Arezzo con animo fiducioso, nell’attesa e nella speranza di uno sviluppo rapido dell’avanzata delle truppe anglo-americane. L’armistizio dell’8 settembre del 1943, lo sbando dell’esercito, la liberazione di Mussolini, il rinato stato fascista collaborazionista a metà settembre, il conseguente prolungarsi dei tempi, finiscono ora per sollecitare molti ad uscire dall’attendismo per dare vita alle prime formazioni armate.

Nel capoluogo di provincia, ad Arezzo, si forma un “Comitato delle Opposizioni”, presto trasformato in “Comitato Provinciale di Concentrazione Antifascista” (CPCA), con la partecipazione dei cinque partiti principali del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN). In seguito alle disposizioni emesse dal CPCA, dopo l’8 settembre del 1943 iniziano pertanto a formarsi anche nelle pendici del Catenaia e dell’alto Casentino, particolarmente adatte perché boscose e montagnose, i primi nuclei partigiani, formati da uomini che provengono da Arezzo e da altre vallate della provincia, oltre che dal Casentino stesso: vecchi militanti antifascisti di orientamento socialista, comunista, cattolico, un ridotto numero di membri del Partito d’Azione, di matrice liberal-socialista e repubblicana, ex militari, renitenti alla leva ed anche alcuni prigionieri di guerra evasi che, soprattutto sulle alture del Catenaia, daranno vita a bande con una forte presenza slovena.

In breve tempo si viene dunque a creare nell’alto Casentino un raggruppamento organizzato e dotato di combattività. Si tratta del nucleo più precoce del partigianato aretino che prende il nome di «Formazione Vallucciole», costituito da poco meno di un centinaio di uomini, punto di riferimento per le altre bande locali e la sua azione, favorita dalle caratteristiche appartate e boscose del Monte Falterona, si indirizza inizialmente al sabotaggio del traffico tedesco e della riorganizzazione fascista.

La situazione di stallo sul fronte meridionale italiano, determinato dalla durissima lotta sul fronte della Linea Gustav a Montecassino e il semi fallimento dello sbarco alleato ad Anzio, nel gennaio del 1944, fanno sì che nell’inverno l’iniziativa delle formazioni partigiane in Casentino e in terra aretina si attenui, fin quasi ad entrare in crisi e, tuttavia, senza estinguersi del tutto.

Ma con l’arrivo della primavera, nei mesi di marzo e aprile del 1944, il movimento dei ribelli riprende progressivamente vigore, arrivando anche a decuplicare i propri membri. Ad ogni nuovo bando di chiamata alle armi nell’esercito repubblicano, le file dei partigiani si accrescono: i giovani invece che arruolarsi nella GNR accorrono nei monti. Ed è così che durante la primavera si verifica una serie ininterrotta di azioni condotte dalle formazioni partigiane casentinesi o comunque stazionate nelle montagne e nei boschi della vallata. Azioni caratterizzate da una grande velocità di spostamento che inganna sul numero effettivo dei ribelli. Verso la metà del mese di marzo avvengono però anche i primi massicci rastrellamenti nazi-fascisti in Casentino (in Vallesanta, nel comune di Chiusi della Verna e nella zona del Monte Falterona), allo scopo di ripulire la zona dalle bande partigiane e poter così dare inizio ai lavori di costruzione delle fortificazioni della Linea Gotica. Si tratta di una reazione durissima dell’esercito occupante e della Guardia Nazionale Repubblicana e il Casentino, dove il movimento partigiano, come si è visto, ha raggiunto dimensioni di rilievo, tocca con mano la crudeltà delle rappresaglie, dei rastrellamenti, delle stragi.

Fallito il progetto indirizzato all’accerchiamento e alla distruzione  delle forze partigiane operanti sia nel settore toscano dell’appennino tosco-romagnolo, sia nel settore romagnolo, attraverso un rastrellamento in grande stile, la strategia alternativa è la messa a ferro e fuoco del Casentino e l’esecuzione di stragi sistematiche tra la popolazione civile.

Per essersi trovato in prossimità di una tratta delle fortificazioni della Linea Gotica e in virtù del fatto che sono numerose le formazioni partigiane costituitesi in queste zone, il Casentino paga dunque un altissimo tributo in termini di rappresaglie, di stragi, di deportazioni.

La tattica aggressiva adottata dalla Wehrmacht sia pure in ritirata (la cosiddetta ‘ritirata aggressiva’) è diretta conseguenza della lentezza e dell’incertezza nel risalire velocemente dal Lazio alla Toscana dell’ 8ª Armata britannica e della 5ª Armata americana.

Gli americani rimangono bloccati sulla Arno Line sino ad agosto e rallentamenti si verificano anche sulla Linea del Trasimeno. Il risultato è che buona parte dei comuni della parte nord-orientale della provincia di Arezzo (e quindi tutto il Casentino) si vengono a trovare in una specie di terra di nessuno, stretti tra la morsa dell’esercito tedesco che si ritira e delle armate alleate che temporeggiano. Il tutto a valle di un sistema montuoso fortificato ritenuto imprendibile. Circostanza ideale per la messa in opera del metodo del terrore teorizzato e praticato da Kesserling.

Sono cinque mesi durante i quali la vallata viene letteralmente messa fuoco. Alla ripresa di vigore del movimento dei ribelli che ha superato la crisi dell’inverno ed arriva ora a decuplicare i propri membri, grazie anche all’apporto crescente dei renitenti alla leva repubblichina e di conseguenza a moltiplicare azioni e colpi, corrispondono dunque massicci rastrellamenti nazi-fascisti in Vallesanta, nel Comune di Chiusi della Verna e nel Falterona che hanno il duplice scopo di dare continuità ai lavori di costruzione della Gotica e contemporaneamente di “ripulire” la zona dalle bande. E’ la tragica “Pasqua di Vallucciole” con i suoi 108 morti, donne e bambini compresi, di Partina e Moscaio di Banzena, di Badia Prataglia (per un totale di 41 morti). Il 14 e 15 giugno è la volta di Chiusi della Verna dove sono uccise dieci persone, il 20 tocca a Montemignaio, dove perdono la vita venti uomini, mentre il 29 in località Cetica, presso Castel San Niccolò, vengono fucilati tredici civili, in corrispondenza di quella che passerà alla storia come la “Battaglia di Cetica”, combattuta tra i partigiani della 23ª Brigata Lanciotto del Pratomagno e un battaglione del 3° Reggimento Brandenburg della Wehrmacht. E non è tutto perché nei due mesi successivi la tragica sequela continua. In seguito alla liberazione di Arezzo, avvenuta il 16 luglio del 1944, e con il fronte ormai prossimo al Casentino, viene intrapresa da parte delle forze tedesche una violenta azione di rastrellamento su tutto il versante del Pratomagno, seguita da numerose stragi, deportazioni e trasferimenti di massa. Inizia l’11 luglio con Quota (5 morti), si prosegue il 25 con Moscia e Lagacciolo (25 persone), ancora Montemignaio il 4 settembre (2 morti), il 10 settembre è la volta di Pratovecchio (4 vittime). Da Castel San Niccolò, il 6 agosto, vengono deportati più di cento uomini, da Poppi oltre centocinquanta, mentre a Moggiona, piccola frazione nel Comune di Poppi, il 7 settembre, dopo che i tedeschi in ritirata hanno ordinato a tutti gli abitanti del paese di sfollare nel versante romagnolo dell’Appennino, vengono trucidati diciannove civili, vecchi, bambini e giovani donne, per di più stuprate. E’ una vera e propria striscia di sangue quella che le popolazioni casentinesi lasciano sul terreno, pagata da un lato alla lentezza della ritirata tedesca che non è veloce come lo era stata dopo la caduta di Roma ed anzi, come si è visto, è diventata “aggressiva”. Un esempio solo dimostra questa anomalia: mentre Bibbiena è “liberata” il 28 agosto, Pratovecchio e Stia, non più di 15 km a nord, ritornano libere il 24 settembre, quasi un mese dopo. Alla lentezza della ritirata tedesca corrisponde la perdurante lentezza della pressione delle forze alleate che, dopo essere state rallentate sulla Linea del Trasimeno e soprattutto di Lignano, subiscono gli effetti della apertura del “secondo fronte” nella Francia meridionale. Tutto questo determina il vero e proprio “culo di sacco”, la “tempesta perfetta” in cui si trova il territorio della prima valle dell’Arno, sia nella primavera che nell’estate del 1944.

Si può dunque ripetere, al tirar delle somme, che la presenza della Linea Gotica in Casentino abbia avuto gli stessi effetti della permanenza di un fronte militare vero e proprio per molti mesi. Anche se nella zona di fatto non ci sono grosse operazioni di guerra tra i due eserciti, quello tedesco e quello alleato – in quanto il fronte sfonderà a est le barriere tedesche lungo l’Adriatico (a costo di durissime battaglie) e ad ovest con la Va Armata nella provincia di Firenze – i mesi che precedono la Liberazione sono, come abbiamo visto, estremamente drammatici per gli abitanti del Casentino. Lo sfondamento della Gotica a Rimini, nell’ambito della operazione Olive scattata il 26 Agosto 1944 e lo sfondamento della Arno Line a Firenze, con il conseguente abbandono della Wehrmacht che si ritira nel Nord Italia (dove ci sarà un altro, durissimo inverno di guerra), probabilmente hanno evitato al Casentino di diventare zona di scontro diretto tra due eserciti, con conseguenze, per le popolazioni e i paesi, ancor più tragiche di quelle di fatto verificatesi, già drammatiche di suo. Basti pensare a quello che era successo pochi mesi prima a Montecassino e che sarebbe potuto accadere a Camaldoli, il monastero fondato da Romualdo nel 1012.

I mesi di agosto e settembre del 1944 vedono quindi la progressiva fine della guerra: i gruppi partigiani aretini e casentinesi, sino ad allora operanti nel Pratomagno e nella prima valle dell’Arno, iniziano a risalire la valle da sud, precedendo gli eserciti che avanzano e occupando i vari paesi che vengono presidiati fino all’arrivo delle truppe alleate. Grazie all’azione delle formazioni combattenti si rende possibile, durante i mesi di agosto e settembre, la liberazione dell’intera vallata: il 28 agosto, come si è visto sopra, viene liberata Bibbiena, il 2 settembre Poppi, l’8 settembre Strada in Casentino, il 24 Stia e Pratovecchio.

Merita infine soffermarsi su un ultimo fatto. Durante i mesi della guerra in Casentino si evidenzia il forte contributo di solidarietà umana dimostrato dagli ordini religiosi nei confronti della popolazione civile della vallata. Il Santuario della Verna e il Santuario di Santa Maria del Sasso, nel Comune di Bibbiena, e il Monastero di Camaldoli, situato nel cuore della Linea Gotica, diventano, durante i mesi dell’occupazione nazifascista, luogo di ricovero per centinaia di famiglie, messe così in salvo dai rastrellamenti dei tedeschi in ritirata e dalle deportazioni. Ma non solo. Le canoniche ed i conventi, oltre a essere asilo sicuro per i singoli, sono spesso sede di riunioni clandestine del CLN, depositi di armi e persino centri di reclutamento per la Resistenza. L’Ufficio Politico Investigativo della 96a Legione della RSI, nel gennaio 1944, già lo abbiamo visto, segnala infatti l’attività «sovversiva e antinazionale» svolta dai monaci camaldolesi e dai francescani della Verna.

Il Santuario della Verna, in seguito all’avvicinarsi del fronte, nei mesi di luglio-agosto, rappresenta una vera e propria oasi per la popolazione circostante così come il Santuario di Santa Maria del Sasso, nel Comune di Bibbiena, particolarmente attivo nell’assistenza ai partigiani e alla popolazione in genere. Una funzione del tutto analoga ai due centri spirituali sopra menzionati viene svolta anche dal Monastero di Camaldoli, situato nel Comune di Poppi. Il Monastero, tra l’altro, risulta situato in una posizione chiave per lo sviluppo e l’estensione del sistema difensivo della Linea Gotica.

Il Monastero di Camaldoli non riveste solo un ruolo di primaria importanza per la salvaguardia della popolazione locale ma anche per il ricovero di numerose casse contenenti opere d’arte provenienti dai grandi musei fiorentini, opere che, a partire dall’ottobre del 1940, vengono momentaneamente custodite nei locali del Monastero per sfuggire al pericolo di eventuali danneggiamenti bellici, nel caso in cui Firenze venga sottoposta al fuoco dei bombardamenti alleati. E non solo Camaldoli. In Casentino ci sono altre due località adibite al ricovero delle opere d’arte fiorentine in tempo di guerra: il Castello dei Conti Guidi, nel Comune di Poppi e la Villa appartenente alla famiglia Bocci di Soci, nel Comune di Bibbiena. Questa vallata, già martoriata dalla guerra e dall’occupazione nazista, vede dunque anche la presenza di un immenso deposito di opere d’arte sottoposte a pericoli di vario genere.

Alessandro Brezzi

Poppi 1944. Storia e storie di un paese nella Linea Gotica

Edito da: “Associazione Nazionale Combattenti e Reduci” – Sezione di Poppi

Quaderni della Rilliana N.°38